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Febbraio 1945, la tragedia Berlese, di Piero Dittadi

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SAMBRUSON. CULTURA, COSTUME, TRADIZIONI, AMBIENTE. - AVVENIMENTI, STORIE, CRONACA

LA TRAGEDIA DEI BERLESE

Scendendo dalla “Strada Alta” verso il centro di Sambruson, prima di arrivare sul Sagrato della Chiesa, c’è tuttora la viuzza sulla destra. Una carreggiata in terra battuta, limitata sulla sinistra da un fossato, con acqua di ignota provenienza. Percorrendo un centinaio di metri compare un lungo edificio che s’inoltra nella campagna retrostante. Nella parte iniziale del casamento vivevano i nonni Bepi e Alba, due stanze al pianterreno, la cucina e l’altro locale definito spazza cucina, due piccole camere al piano superiore e il gabinetto all’aperto. Il lato sinistro delle mura domestiche delimitava il parco della Villa Berlese, dimora della benestante e aristocratica famiglia di origine padovana, proprietari della vasta campagna. Poche persone a Sambruson avevano varcato il riservato ingresso della villa. La carreggiata proseguiva verso le stalle, dove c’erano mucche, buoi, cavalli e la porcilaia. Due famiglie abitavano nei pressi delle stalle e si occupavano del bestiame. In una di queste viveva la vedova Amabile con i suoi figli Aldo e Antonietta De Gaspari. I Berlese erano persone riservate, uscivano poco dal loro alloggio. Si alimentavano con i prodotti delle terre di loro proprietà. La nonna Alba, affittuaria, recapitava ai signori uova, polli e le verdure che crescevano in un piccolo orto situato sul lato della casa. Le stalle fornivano latte, formaggi e i vari prodotti del maiale macellato. Gli alimenti come zucchero, sale e caffè, venivano acquistati dal personale di servizio negli alimentari dei fratelli Organo. Il perimetro dei campi era delimitato dagli alberi del gelso, le foglie dei quali erano il ghiotto alimento dei bachi da seta, allevati in un’area sopra un fienile. Era un piacere seguire la metamorfosi degli insetti nel periodo in cui tessevano i bozzoli dorati. In estate, quando le more maturavano nei gelsi, io e alcuni miei coetanei eravamo assidui consumatori del frutto. Temevamo però i rimproveri del burbero fattore che assomigliava a quello del film “L’Albero degli Zoccoli” del regista Ermanno Olmi. Ercole (questo il suo nome) girava nella campagna con la bicicletta e ci sgridava asserendo che per arrivare ai gelsi calpestavamo il raccolto dei campi. Spesso, al termine delle lezioni a scuola, andavo a pranzo dalla nonna, dove non mancava mai la polenta e una minestra con il brodo di una vecchia gallina che non dava più uova. Passavo il pomeriggio giocando molte volte con il figlio dei Berlese che aveva due anni meno di me. Lungo la careggiata, nella quale ci rincorrevamo, transitavano lenti carri trainati da buoi che trasportavano fieno, pannocchie di mais e altri prodotti della campagna. Inesistente il passaggio di mezzi motorizzati, così i nostri giochi erano privi di pericoli. In un giorno di febbraio 1945 avevo in programma il pranzo dalla nonna Alba, nel pomeriggio avrei condiviso i giochi con il figlio dei Berlese. Nella carreggiata c’era qualcosa di insolito, persone in lacrime, nonna compresa. Uno sporadico autocarro militare in transito aveva accidentalmente travolto e ucciso Augusto Berlese, il mio compagno di giochi. Aveva solo 5 anni.

 


 

Ringrazio Piero Dittadi per averci trasmesso questo fatto di cronaca avvenuto a Sambruson nel 1945, nel quale si è trovato personalmente ed emotivamente coinvolto, all’età di cinque anni. Il triste avvenimento risulta poco conosciuto e ricordato dagli abitanti di Sambruson ed ho ritenuto perciò opportuno riportarlo alla memoria del paese.

A Pierino va comunque un forte plauso per essere fonte incredibile di ricordi, avvenimenti, storie, da lui definiti aneddoti, pur nella sua breve permanenza, solo da ragazzo, nel paese dove è nato ma poco tempo vi ha vissuto.

Ancora grazie Piero e un caro saluto. Luigi Z.

 

 


articolo a cura di Luigi Zampieri


 

Ultimo aggiornamento (Lunedì 25 Aprile 2022 09:40)

 

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